Cardiopatia

Ecco un vecchio racconto di cui non mi ricordavo. L’ho riletto e mi piace, quindi enjoy.

Cardiopatia

Era uno di quei depliant da sala d’aspetto del medico: Cinque modi per evitare l’infarto, tre paginette fitte di consigli, inutili per uno come me, ventiquattro anni, vegetariano, che non fuma e non beve alcolici. Però l’avevo raccolto e messo in tasca per sfuggire alle chiacchiere della pensionata seduta a fianco, smaniosa di qualcuno a cui elencare le sfighe degli ultimi quindici anni, poi era arrivato il suo turno e avevo messo in tasca il prontuario che ora stringo in mano. Ci sono immerso dentro, lo leggo con tanta intensità che non mi accorgo di ciò che sta accadendo sul pullman, manco fosse un romanzo di Proust. Quando il controllore arriva deve battermi sulla spalla per strapparmi dal volantino. Frugo in tasca, tiro fuori il biglietto, il tizio è seccato, lo scruta alla ricerca di qualche irregolarità, poi deluso me lo riconsegna. Torno a immergermi nell’elenco dei piatti ad alto rischio per il cardiopatico, tutta roba schifosa non c’è che dire e nemmeno il caffè possono bere. Non è per colpa di Proust quindi se perdo la mia fermata, me ne accorgo, mi alzo di scatto e schiaccio il bottone rosso che fa ping.

Il bus si ferma con un’inchiodata, mi trovo a terra sotto la pensilina e dal cartello giallo cerco di capire quanto dista la fermata giusta. Tre fermate. Sei, massimo settecento metri, rimango un po’ lì, indeciso se farmela a piedi; fa appena freddo, autunno mischiato a un po’ d’estate. Attraverso il controviale e procedo al riparo delle vetrine. Non mi secca aver perso la fermata, guardo l’orologio, sono in netto anticipo per l’appuntamento. Gli imprevisti di solito mi agitano, oggi no, cammino piano; il traffico di metà mattina fa vedere l’asfalto tra una macchina e l’altra, i platani che costeggiano il viale sono malati, una tizia passa di fianco col suo bassotto che caga tre volte in duecento metri. La donna non raccoglie nulla, lascia lì, alla mercè di suole sventurate.

Sono contento di aver perso l’abitudine a prepararmi ai colloqui, arrivavo davanti al posto dell’annuncio con una buona ora d’anticipo e ripassavo a mente il discorso.

Salve sono Carlo Roberto. Sì Roberto è il cognome. Eh lo so, è strano. Io sono massofisioterapista diplomato, preferibilmente tratto sportivi, ma all’occorrenza…” tutto così, un’ora di conferenza interiore che si sfaldava in una sequenza di “umh, ehm” alla prima stretta di mano. Ho voglia di un tramezzino con mozzarella e tonno, è da ieri che non mangio, ma incrocio un solo bar che espone quindici tipi di croissants e nemmeno un panino.

Arrivo al palazzo dell’appuntamento, manca mezz’ora al mio turno, dall’altra parte della strada c’è un indizio di giardino con due panchine verdi, guardo l’ora, le panchine e attraverso. A questo punto ho due scelte: o vago alla ricerca di un bar per placare la fame, o continuo l’avvincente depliant anti-infarto. Lo tiro fuori dalla giacca e riparto dalla quarta regola d’oro: il moto.

Passa un quarto d’ora e un caldo umido m’inzuppa i pantaloni, alzo la testa, un cocker mi sta pisciando sulla gamba, sto per mollargli un calcio quando una voce lo richiama “Peedrooo.” la ragazza all’altro capo del guinzaglio è bellissima “Oh dio mi spiace, mi spiace.”

Sono immobilizzato, dalla sua bellezza, dal profumo che porta e dalla pisciata sulla caviglia. Lei guarda nella borsa alla ricerca di qualcosa, dimentica pure il guinzaglio che finisce in terra. È un attimo, il cocker, improvvisamente libero, approfitta per scaricare una corsa rimasta nelle zampe troppo a lungo. La prima macchina lo evita, la seconda lo prende in pieno, la donna se ne accorge solo per il delirio di claxon scatenatosi. Alza la testa dalla borsa, mi guarda, guarda in mezzo alla strada, urla, getta in terra la borsetta e corre al centro della strada. Non so che fare, sono impietrito, dovrei alzarmi, raggiungerla, tentare la respirazione artificiale sul cocker, ma quando mi alzo sta montando su un taxi col corpicino immoto in grembo. Guardo sfilare la macchina con la faccia da fesso e il depliant attaccato alle dita. Il traffico riprende a correre, un campanile da qualche parte molla un dong, le undici e mezza, è il mio turno. Invece di riprendermi e correre mi lascio cadere sulla panchina, vedo un vecchio che punta la borsa rimasta in terra, mi alzo di scatto e la afferro guardandolo male. Vado al protone del centro estetico, per fortuna la porta è a specchio e prima di suonare posso vedermi: pallido, affamato, una borsetta gucci nella mano destra, un depliant per cardiopatici nella sinistra e il fondo dei pantaloni zuppi di pipì di cocker. Mi sposto di lato e mi appoggio al muro. Infilo il depliant in tasca poi m’accorgo che tra le panchine c’è una cabina, appoggio la borsetta e mi frugo svelto, venti centesimi giusti, raccolgo la borsetta, arrivo alla cabina e mi viene in mente che non so il numero. Di nuovo appoggio la borsetta e di nuovo frugo alla ricerca del ritaglio coll’annuncio. Lo trovo, accartocciato in fondo alla tasca destra, lo riesumo, lo scarto ed entro nella cabina.

Porca vacca non prende moneta.” batto un pugno sul plexyglass e mi faccio pure male.

Attraverso di nuovo la strada, suono il campanello, aprono, davanti alla segretaria sfodero il sorriso migliore.

Salve sono Roberto, sì è il cognome. Sarebbe così gentile da tenere la borsetta, sa mia moglie l’ha dimenticata in macchina e non mi fidavo a lasciarla lì.” penso.

Ehm, uhm. Roberto.” dico.

Terzo piano.” dice la segretaria.

Uhm mi tiene la borsa?” appoggio la borsetta sulla scrivania e mi incammino.

Quando arrivo alla porta sono completamente sudato, busso, viene una voce da dentro, apro la porta. L’uomo dietro la scrivania indossa camice bianco e occhiali quadrati da miope, mi avvicino, gli stringo la mano, vorrei dargli il curriculum ma l’ho dimenticato. Bastano tre minuti di uhm a fare una pessima figura e trovarmi alla reception a reclamare la borsetta. Uscendo vedo la segretaria che scuote la testa, sono triste, stanco e ancora senza lavoro.

Torno alle maledette panchine, siedo e finalmente mi accingo ad aprire la borsetta. Mi arriva davanti uno dei tre clienti che ancora vengono a casa.

Ah Roberto, avevo visto bene. Come va?” dice guardando la borsetta.

Signor Pozzi, che sorpresa. Come va la schiena?”

Non c’è male, anzi volevo dirle che forse non è più il caso che…” abbozza fissando insistentemente la borsetta.

Ma che dice. Ah, sa mia moglie…” dico alzandola.

Moglie?”

Mi mordo la lingua, sicuro di avergli detto della mia condizione di single cronico: “Sorella, volevo dire mia sorella.”

Diciamo che salto solo la seduta di venerdì eh. Poi mi faccio vivo. Allora buongiorno e saluti sua… sorella.”

Se ne va, anche lui scuote la testa, ficco la mano in tasca alla ricerca di una gomma su cui scaricare la rabbia, mi trovo in mano il depliant, lo estraggo e lo fisso rendendomi conto che è tutta colpa sua. Ho perso due lavori, sono colpevole di canicidio colposo, vado in giro con una borsetta Gucci e i pantaloni bagnati, tutto per sapere che a un fottuto cardiopatico farebbe bene non ingozzarsi di hamburgher e whisky. Accartoccio il foglio e lo getto in terra.

Finalmente libero mi alzo, una vecchina si fa incontro “Lei a casa sua fa così?”

Prego?”

Dico è abituato a gettare le cose in terra? Lo sa cosa succederebbe se facessimo tutti così?” mi guarda allungando il collo.

Uhm… ecco io…”

Sarebbe una cloaca, ecco cosa!”

Chino il capo, raggiungo la pallottola di carta e guardo intorno alla ricerca di un bidone, sotto lo sguardo indignato della donna, prima di metterlo in tasca chiedo: “Soffre di cuore?”

Lei si avvicina, mi molla una borsettata sul braccio e va via facendo le corna.

Devo tornare a casa, mettermi a letto e aspettare che questa maledetta giornata passi, ma c’è la borsetta, immagino la padrona del cane che sta facendo la mia descrizione all’esperto di identikit della polizia. Torno alla panchina, una volante passa nel corso a sirene spiegate e faccio un salto. Appoggio una mano sul petto e decido di trovare un posto di polizia per consegnare la borsetta e in culo ai sogni di flirt con la proprietaria, al suo profumo suadente e alla fame che urla in pancia.

Mi alzo, cerco di ricordare dov’è la polizia, ma non conosco la zona a parte le maledette panchine e il palazzo del mio ex quasi lavoro. Potrei prendere il pullman e andare al commissariato dietro casa ma il viaggio con la borsetta è una pessima soluzione, già immagino gli sguardi indignati degli anziani e le risatine degli studenti che hanno fatto sega, non li reggerei.

Fermo un passante “Ehm chiedo scusa.” dico.

Dica.”

Io cercavo… uhm cerco un posto di polizia.”

Si vuole costituire?” fa l’uomo accennando alla borsetta.

Ehm no, io…”

Al semaforo a sinistra.” dice e se ne va seccato.

A sinistra.” ripeto.

Sono stremato, ho fame e probabilmente sto diventando cardiopatico, allora tutto recupererebbe un senso. La morte del cane, il profumo della padrona e soprattutto l’opuscolo. Arrivo al semaforo e giro a sinistra, mi trovo di fronte all’arci gay e penso le risate che si starà facendo il tipo, ma mi sbaglio, poco avanti la scritta Polizia spunta blu da una siepe. Suono, il cancello si apre, arrivo al gabbiotto.

Desidera?”

Devo consegnare una borsa.” dico mostrando la borsetta. Il piantone mi guarda strano, ma apre la porta e dice di andare nella sala d’aspetto che è mostruosamente piena, siedo sull’ultima sedia libera. Passano circa due ore, mi sforzo di non recuperare il depliant anti-infarto, stringo la borsa tra le mani e scruto le ultime dieci annate di calendari della polizia appesi in fila sulla parete. Li ho passati in rassegna quindici volte quando arriva il mio turno.

L’agente mi accompagna nella stanza, dentro ci sono due scrivanie, una finestra, due computer e un uomo in borghese con la camicia slacciata fino alla pancia, seduto dietro la scrivania più grande.

È l’ultimo?” chiede.

Se dio vuole.” risponde.

Buongiorno.” dico io.

Il capo mi guarda “Deve fare denuncia?”

Da quando tutto è cominciato è il primo che non nota la borsetta e la cosa mi rilassa “Proprio denuncia non lo so. Ecco io ho trovato questa.” appoggio la borsa sulla scrivania.

Il capo alza la testa, si sporge in avanti e la afferra “Trovato?” dice.

Sì trovato.” il tono mi fa passare la calma “Ehm ecco un cane mi ha ehm… pisciato sulla gamba uhm… la padrona ha mollato il cane… la borsa è caduta e io ehm… l’ho… raccolta.”

Cane?”

Già.”

Il capo guarda nella borsa, fa una faccia schifata, mi guarda “Crede di essere divertente?” urla.

Div… ehm veramente…”

Caluso abbiamo un cabarettista qui.”

L’agente si alza, si avvicina al capo, guarda nella borsa e mi molla uno schiaffo.

Ma…”

Sa come si chiama questo scherzo?” dice il capo.

Hem io…” mi chiedo come ho fatto a passare in un attimo da cittadino modello a delinquente.

Questo fa il tonto commissario.” dice l’agente e prepara un altro ceffone.

Il capo lo ferma con un cenno “Non ti sporcare Caluso, la voglia di scherzare gliela facciamo passare in gabbia. Ventiquattrore di fermo per oltraggio.” ordina.

Ma perché?” riesco a chiedere. L’agente mi afferra la nuca e mi spinge la faccia nella borsetta aperta. Capisco prima col naso e poi con gli occhi di cosa è piena: merda di cane, di cocker per la precisione e kleenex accartocciati.

Sto sdraiato su una panca fredda, sulla panca di fronte un ragazzo magrebino mi fissa e non dice una parola, rimpiango i calendari della polizia, di non essere uscito con un libro di Proust, e di non essermi accontentato di un croissant per colazione.

Mi tiro seduto e metto le mani in tasca, il depliant mi scivola subito in mano, lo tiro fuori, lo spiego per bene, lo metto in bocca e comincio a masticarlo, odio i cardiopatici.

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