Il cerchio è la forma geometrica che più di ogni altra rispecchia l’umanità. Han provato coi triangoli, i quadrati e perfino i pentagoni, ma alla fine siamo tondi, come un cerchio.
In un cerchio, si sa, non può mancare un pezzo, non sono previste defezioni; orientamenti diversi sì, ma alla fine tutti legati da quel tratto che attraversa ogni vita, ogni dolore, ogni vittoria.
Forse c’è stato un tempo in cui questa semplice constatazione geometrica era ben chiara a tutti, ma io non l’ho vissuto, né studiato.
Viviamo, da quando esiste la Storia, in un mondo di punti che si credono autosufficienti, gettati a caso su un foglio di mondo in attesa di un tratto di matita che li unisca, o li cancelli. Proprio non ci fidiamo dell’osservazione più semplice, immediata, naturale: che anche un punto è rotondo e miliardi di punti altro non sono che frazioni di un cerchio enorme e fragile come un immenso guscio d’uovo che ci contiene tutti.
Così, a forza di tirarlo, spingerlo, angolizzarlo nella speranza di dargli la forma che ci piaceva di più, l’abbiamo strappato il cerchio.
La dietrologia, la cultura del complotto, l’ignoranza al potere, la sfiducia verso il vero, ci hanno portato fino a qui, a contare i morti degli altri con scherno, a mettere in dubbio la scienza che tanto decantiamo in favore del pettegolezzo e dell’opportunismo.
Nessuno però, di nuovo, capisce la cosa più semplice: non si può rompere un cerchio senza svuotarlo di ciò che contiene e il nostro cerchio contiene l’umanità intera.
Buona fortuna a tutti, se andiamo avanti a non avere fiducia in ciò che sappiamo, in ciò che si puo dimostrare, in ciò che ricordiamo, state ben certi che non andrà tutto bene.