“Giovanni Storti” diceva la cartella che mi ballonzolava davanti, mentre entravamo in classe in fila indiana per due, come ordinava la maestra Greppi. Una vecchina secca finita, con lo chignon grigio e il grembiulone nero, lungo alle caviglie. Aveva un aspetto naturalmente corvesco che le consentiva di esercitare il potere senza esprimerlo.
Una maestra Napoleone insomma, impossibile da battere e da amare.
Il Giovanni Storti, poverino, non aveva mica ancora capito con chi avesse a che fare e, quando le passò di fianco, ebbe il malaugurato istinto di starnutire e lo fece in piena concomitanza col grembiulone nero, lungo alle caviglie. Solo anni dopo avrei capito a cosa poteva assomigliare il narigio di un seienne spruzzato ad aerografo su un grembiulone nero.
Tuttavia non credo sia stata la paura di apparire impudica della Greppi, quanto la nostra risata seccante e incontrollata a farle alzare la mano anellata a mezz’aria e lasciarla poi cadere sulla rubiconda faccia del Giovanni Stori.
Quando la mano rugosa entrò in contatto con la guancia paffutella dello starnutitore, sembrò fermarsi tutto, come in un film di Scorsese.
I genitori, purtroppo, già a quei tempi avevano preso l’insana abitudine di aspettare adoranti sul selciato l’ingresso dei loro rampolli, invece di correre in ufficio o da qualsiasi altra parte, approfittando della sana autorità magistrale per riposare le loro già scarse doti di comando.
Fu uno di loro a dare inizio al linciaggio: “L’ha picchiato!” urlò.
Secondo me, non era nemmeno un parente dello Storti, ma bastò.
In men che non si dica, il reggimento napoleonico di cui avevo fatto orgogliosamente parte si era dissolto, dilaniato da uno stillicidio di bambini strappati a forza da madri e padri deliranti dalle fila perfette concepite dalla maestra Napoleone, impossibile da battere e da amare.
Il direttore, allora si chiamava così, uscì e la scortò nel suo ufficio e più niente maestra Napoleone, battuta e rinnegata.
Il giorno dopo lo starnuto, arrivò una donna grassa che non sapeva niente di linee e neppure parlava tanto bene la lingua, ma era docile come un agnello. Non ho capito mai perché i genitori ne fossero così felici, ma mi abituai ed entrai a far parte di quel gruppo di sbandati che è la mia generazione.
La maestra Napoleone non la rividi mai più, ci dissero che era andata in pensione. A volte però, ancora mi ricordo di quel grembiulone nero, lungo alle caviglie e di quelle file perfette e mi chiedo se non abbiamo davvero sottovalutato l’importanza di Napoleone.