Uomini e gnu

Nessuno aveva la più pallida idea di come ci fosse arrivato un cadavere di gnu a intasare le fogne di Porrazzolo. Di certo non era arrivato dal Po, né da uno dei numerosi affluenti che si gettano nel grande fiume nei cento chilometri e più che percorre da Torino a Porrazzolo. Fatto sta che il corpo dello gnu era lì, bello gonfio, a intasare le fognature del paese.
Che fosse uno Gnu non c’era proprio nessun dubbio, l’aveva detto l’etologo e filosofo di specchiata fama internazionale e fiore all’occhiello della comunità Geraldo Vercelli.
Fu proprio lui a trovare lo gnu, sollevando il tombino di Piazza Martiri e riconoscendo subito l’animale, su cui peraltro aveva scritto l’indispensabile saggio Lo Gnu come metafora dell’esistere, che sta in bella mostra negli scaffali delle librerie di tutti i porrazzolesi. Rendenosi subito conto dell’incommensurabilità dell’evento, chiamò nell’ordine: la Protezione Civile, i Carabinieri, la Forestale e il suo editore, il quale a sua volta telefonò alla redazione delle TV Riunite per annunciare il singolare ritrovamento.

Intorno a mezzogiorno, il tombino di Piazza Martiri, dove confluivano tutte le fogne del circondario, pareva San Siro prima di un concerto di Vasco Rossi.
Lo Gnu era stato estratto con grande perizia dai Vigili del Fuoco che nessuno aveva chiamato, ma furono comunque i primi ad arrivare.
Il grande etologo e filosofo di specchiata fama internazionale, autore dell’indispensabile Lo Gnu come metafora dell’esistere Geraldo Vercelli arringava la folla, fiero da matti che la sua oscura specializzazione fosse finalmente ascesa alle glorie della cronaca nazionale. Si era perfino procurato, non si sa come, una bacchetta fine, di legno nero che utilizzava per accompagnare la dissertazione sulle componenti anatomiche del brutto quadrupede africano a cui aveva dedicato l’intera carriera, pur non essendo mai uscito dalla pianura Padana.
In pochi sanno, infatti, che l’esimio dottor Vercelli ha basato tutta la sua teoria etologica/filosfica gnucentrica basandosi sullo studio del cinghiale comune, a causa di uno spiacevole errore burocratico del Dipartimento di Etologia della vicina Università di Pavia di cui nessuno parla volentieri.

Il Vercelli era decisamente su di giri, saltellava intorno al cadavere del povero animale, decantando le virtù di pazienza e cocciutaggine dello Gnu, pasto favorito dei più feroci predatori del pianeta, per cui anche il semplice gesto di abbeverarsi al fiume può risultare fatale.
In pochi sanno, anche, che tutte queste informazioni sullo Gnu, il Vercelli non le aveva desunte dal sezionamento del cinghiale comune al reparto di etologia, ma dalla visione ossessivo compulsiva di un documentario della bbc di 4 ore spesso ritrasmesso nelle notti d’estate dalle tv locali.

Proprio mentre il Vercelli era stato finalmente zittito in vista dell’imminente collegamento in diretta con la Tv e attendeva raggiante la linea con l’auricolare ben posto e il microfono attaccato al mento, fissando religiosamente la telecamera, alle sue spalle, arrivarono due cacciatori della zona, attirati dalla folla riunita intorno al tombino di Piazza Martiri. 

I due ignorarono completamente la folla, il Vercelli, la troupe e la famosa giornalista e si chinarono sul cadavere dell’animale. Il più anziano dei due disse: “Te l’avevo detto che l’avevo colpito.”.

Il più giovane bofonchiò e rispose: “La solita fortuna…”. 

Incuranti del contorno, legarono le zampe della bestia e se la caricarono in spalle.
Non li vide nessuno, né la folla, né la protezione civile, né i carabinieri, né la forestale, né l’esimio dottor Vercelli e il suo editore. Erano tutti a fissare la telecamera, in attesa della luce rossa della diretta. Quando finalmente si accese e l’operatore allargò l’inquadratura per comprendere il cadavere di gnu, fece uno strano gesto alla famosa giornalista che si voltò di scatto e così fece il Vercelli, entrambi rendendosi conto dell’ingombrante assenza dello gnu. Il Vercelli prese a urlare, la famosa giornalista si dimenticò di essere in diretta e bestemmiò dei santi sconosciuti anche alla più dotta delle beghine. La Protezione Civile, i Carabinieri e la Forestale non sapevano che fare e chiamarono i Vigili del Fuoco. La folla approfittava della luce rossa ancora accesa per salutare parenti e amici. 

Nel frattempo, i due cacciatori erano rientrati nella loro cascina, appesero la bestia in cortile e lasciarono ai giovani il compito di macellarla. Seduti in cucina, strapparono il vino, si versarono un goto e il più anziano disse: 

“Io i cinghiali li colpisco sempre.”

Il giovane fece “Prrr…” con le labbra, poi disse: “Ma che ci faceva tutta quella gente davanti al tombino?”

Il vecchio bevve il suo vino, alzò le spalle, aggrottò la fronte e sentenziò: “Dove c’è troppa gente a guardare, non c’è nulla di buono da vedere.”.

Il giovane, finì il vino, si alzò, diede una pacca sulla spalla al vecchio e disse: “Vado ad aiutare i ragazzi col cinghiale.”.

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