I funghi rossi di Caraldo sono noti in tutto il mondo, un po’ per quel sapore intenso e l’effetto afrodisiaco, un po’ perché sono come il pesce palla: se sbagli a tagliare, muori.
Il problema coi funghi rossi di Caraldo è che, come molti altri funghi, non si possono coltivare e per raccoglierli è necessario un Permesso, rilasciato dal Sindaco di Caraldo in persona che ogni cinque anni, durante un pomposa cerimonia ancestrale, distribuisce i sacri Permessi ai selezionati, quasi fossero contee irlandesi ricche di bestiame e frumento.
Certo, per un caraldese non esiste professione più ambita, un cercatore di funghi di Caraldo può guadagnare anche un milione all’anno, dicono.
Proprio nell’anno della pandemia, accadde che scadeva il lustro e bisognava assegnare i sacri Permessi, costasse quel che costasse.
Il sindaco di Caraldo se ne preoccupava moltissimo, dagli achivi comunali, infatti, pareva che dall’anno 1000 non fosse mai successo che i permessi non venissero assegnati e non voleva essere proprio lui il primo della Storia a fallire l’unico incarico importante che gli toccava in sorte.
Provò prima a negare con forza l’esistenza del virus, ma quando si ammalò e un quinto del paese ci lasciò le penne, decise di cambiare approccio e fare di Caraldo una specie di riserva per sani.
Organizzò i paesani rimasti e, in men che non si dica, fece erigere un muro tutto intorno al paese, in modo che nessuno potesse entrare né uscire. Poi, tutto fiero, dichiarò nella piazza vuota che anche nell’anno del signore 2020, i Permessi per i fungai di Caraldo si sarebbero assegnati, come prevede la Storia e prescrive il buonsenso. Per farsi sentire da tutti, aveva fatto modificare un apparato radio dimenticato dai bersaglieri nel ‘43 durante la rotta e rapidamente convertito dal fido Tito Livati, il suo poliedrico assistente, in altoparlante.
I caraldesi accolsero la notizia con giubilo e dai balconi e dalle finestre intonarono l’antico canto dei fungai di Carraldo:
Se viene la luna
Nasce il funghino
Se sbagli la lama
Non rivedi il bambino
Taglia la punta
Taglia la punta, per carità
Le prime due settimane filarono lisce, i caraldesi erano tutti impegnati a studiare il manuale ed esercitarsi nelle prove fisiche per affrontare l’esame teorico e quello pratico per ottenere il Permesso che si sarebbero tenuti il 25 maggio, come da tradizione.
Alla terza settimana, il supermercato di Cecco il verduraio era ormai vuoto, restavano solo gran casse di funghi rossi di Caraldo che nessuno poteva comprare perché per legge i caraldesi non mangiano i funghi rossi, sarebbe come se gli arabi si bevessero il petrolio anziché venderlo.
In sostanza, non rimaneva più nulla da mangiare, venne quindi riunito il Comitato di Crisi, formato dal sindaco stesso, dal poliedrico Tito e da Cecco il verduraio; il quarto membro, il prete, era morto a febbraio durante la fase negazionista e non c’era stato il tempo di rimpiazzarlo.
Essendo completamente isolati dal resto del mondo, i tre impavidamente decisero di riunirsi in persona, senza mascherine né distanziamento fisico, come avrà poi modo di sottolineare il Tenente durante le indagini, rifacendosi al verbale della riunione.
L’incontro del Comitato andò pressapoco così:
“Siamo senza cibo. Che facciamo? Il fornitore verrebbe anche, ma viene da fuori, rischia di ucciderci tutti.” disse Cecco il verduraio.
“No, un esterno! Sei matto? Butteremmo via tutto lo sforzo fatto, il muro e tutto il resto. Senza contare che salterebbe anche la cerimonia, mancano appena due giorni.” protestò il sindaco.
“E allora moriremo di fame!” si disperò Cecco.
Il poliedrico Tito, al suo solito, restava in silenzio, e, su un foglio che aveva davanti, lasciava andare la penna a spandere righe che, incrociandosi, formavano reti, facce, perfino destini.
“Ho la soluzione.” disse poi, riaccendendo la speranza negli occhi dei altri due che pendevano dalle sue labbra.
Il poliedrico Tito li lasciò pendere, si alzò e con passo flemmatico si diresse alla scrivania del sindaco, la superò e pescò una copia del Sacro Regolamento dei Permessi dalla libreria retrostante.
Il sindaco e Cecco si guardarono, alzarono le spalle e attesero che il poliedrico Tito li illuminasse. Aprì il sacro libro, scorse con l’indice il passo che cercava e annuì.
“Faremo un banchetto di funghi rossi, di quelli ne abbiamo in abbondanza.” sentenziò.
Checco il verduraio scoppiò a ridere, il sindaco trasalì: “Ma è completamente illegale, piuttosto la morte!”.
Il poliedrico Tito, come se aspettasse proprio quelle parole, aprì il libro e lo sbattè sotto la faccia dei due. Il sindaco lesse: “In casi eccezionali e a discrezione del comitato di crisi, è possibile organizzare una mangiata collettiva di funghi rossi per ristorare il morale del popolo dopo eventi epocali, quali: guerre, epidemie e cataclismi!”
“Ma è meraviglioso!” esultò Cecco.
“Non faremo altro che dire ai paesani di tenersi leggeri un paio di giorni perché il pranzo sarà luculliano, mi incaricherò io stesso di cucinarlo!” disse il poliedrico Tito.
“Ma sei sicuro?” chiesero all’unisono il sindaco e Cecco.
“La gloria appartiene ai vinti, se chi può vincere non si adopera per farlo.”
“Ma sai come si tagliano?” chiese Cecco.
Il poliedrico Tito lo guardò con sufficienza e rispose: “Ho visto ventisette tutorial su youtube.”.
La risposta bastò a convincere il Comitato di Crisi, la votazione fu solo una formalità.
Dopo due giorni passati in cucina, finalmente il banchetto era pronto. Il paese intero si riunì nella piazza; ormai le notizie da fuori non importavano più, sembrava una cerimonia come tutte le altre del passato, col grande pranzo prima delle prove.
La mancanza dei turisti, dei fotografi e dei giornalisti non si sentiva per nulla. Il fantasmagorico profumo di funghi cucinati in ogni maniera conosciuta: fritti, trifolati, alla griglia, al forno e perfino sulla stufa, si spandeva su ogni cosa.
Quando i Carabinieri arrivarono, poche ore dopo, si sentiva ancora nell’aria, ma nessuno lo poteva percepire, indossavano le tute bianche e le maschere antigas.
Se solo il Tenente che avrebbe poi dichiarato: “Sono morti tutti di covid.” avesse sentito le ultime parole del poliedrico Tito: “Speriamo che la punta sia davvero quella in basso.” oggi, sapremmo un’altra storia.