Ritirata

Scade oggi l’ultimatum dei barboni in gonnella per lasciare la ridente Kabul. Abbiamo visto le forze NATO e l’esercito più caro e presumibilmente potente del mondo scappare a gambe levate, nemmeno fosse Hanoi. Il risultato è una figuraccia di proporzioni epiche, quasi quanto l’esborso di denaro degli ultimi vent’anni per curare un Paese che non si sa più nemmeno bene di cosa sia malato. L’Afghanistan si conferma come un fortino inespugnabile, mentre gli Stati Uniti vedono traballare sempre di più la loro leadership mondiale e Biden non sembra in grado di parare il colpo. Tra le tante voci inutili dei politici di mezzo mondo, solo Angela Merkel ha sollevato la questione più importante: che siamo stati a fare 20 anni in Afghanistan, esattamente?

Nonostante l’impressionante dispiegamento di uomini e mezzi – questi ultimi lasciati in regalo ai Talebani – l’Afghanistan è rimasto un paese povero, affamato, distrutto e lacerato da una guerra civile infinita e da un fondamentalismo ignorante e impermeabile a ogni afflato di civiltà.
Forse è davvero venuta l’ora di rassegnarci all’egemonia cinese e al ricatto arabo, entrambi scenari incompatibili con l’esistenza degli Stati Uniti come potenza di riferimento, ma anche con la nostra.

L’unica speranza è che l’Europa, una volta tanto, faccia il suo dovere di culla della civiltà e cominci a dettare i nostri principi agli altri, cominci a comportarsi da potenza economica, politica, militare e di intelligence coesa, unita sotto una stessa bandiera che significa cultura, umanesimo e rispetto. Non possiamo più aspettare di capire di chi saremo vassalli la prossima volta, è ora che l’Europa si doti di un governo federale unico, con un presidente vero, eletto da tutti i popoli che abbia potere sulle scelte ambientali, militari, macroeconomiche e di politica estera, lasciando ai governi degli stati federati il compito di governare gli affari correnti. Solo in questo modo potremo dire la nostra in maniera convincente, tornando a diventari autori della Storia ed evitare che la scelta dell’umanità debba ricadere tra un cowboy attempato, un contadino sanguinario e un pastore invasato, con tutto il rispetto per le tre categorie.

Finché gli europei non smetteranno di dividersi tra nazioni, regioni o addirittura comuni, resteremo in balìa del fato, senza poter scegliere il nostro destino, piuttosto ironico per gli inventori dell’Odissea. Le istituzioni europee devono fare un ultimo passo, il più difficile certo, perché gli europei, è vero, siamo vecchi, abitudinari, diffidenti, legati alle tradizioni. Ma proprio l’amore per quelle tradizioni che solo 150 anni fa ci ha portato a combattere tra noi, oggi, dev’essere la ragione primaria per fondare definitivamente gli Stati uniti d’Europa, un continente non vecchio, ma antico, non conservatore, ma saggio, non impaurito, ma impavido e cosciente del suo valore storico e morale ancor prima che economico. Finché non faremo questo salto, saranno gli altri a decidere cosa sia giusto e cosa no, cosa sia etico e cosa no, cosa sia sacro e cosa no e a me, a noi europei, non piace affatto.

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