La corsa di Mariano

In caramantese ci sono 24 parole per dire pioggia, ormai solo i vecchi le ricordano tutte, ma c’è un motivo per cui gli abitanti di Caramante furono così specifici nel definire l’acqua che cade dal cielo. A Caramante, infatti, si ricordano gli anni in cui non c’è stata un’alluvione e tra i ventiquattro termini utilizzati solo uno prevede l’assenza di catastrofi collegate, si dice pluvín, cioè uno di quei giorni in cui sì piove, ma l’entità della precipitazione è talmente minima da sembrare uno spruzzino di quelli che le ragazze si portano in spiaggia per idratarsi sotto la canicola. Era proprio un giorno di pluvín quando Mariano Riboldi decise di uscire a fare una corsetta, erano già due mesi che si era comprato su amazon le scarpette, i fuseaux e la maglietta impermeabile e, finalmente, era arrivato il pluvín. Mariano era vestito di tutto punto, prima di uscire di casa, si guardò soddisfatto allo specchio e urlò alla moglie, intenta a preparare la cassoeula per la cena: “Vado a mettermi in forma.”. Lei non capì o forse era troppo presa dalla cottura della testina e non rispose, Mariano alzò le spalle e uscì, già corricchiando. 

Una volta in strada, cominciò a prendere velocità, si sentiva terribilmente figo e approfittava delle sparute vetrine del centro per guardarsi riflesso e godere della propria immagine che già gli sembrava più giovane e longilinea. Era così gasato che in pochi minuti si trovò ai margini del paese, dove la campagna diventava prepotente e infinita e continuò a correre, sempre più veloce, ascoltando il fiato e il cuore accelerare come un riff di Keith Richard a fine concerto. Non badò affatto a quello che i vecchi caramantesi chiamavano pluvón che si caratterizza per essere annunciato da un cumulo di nubi nere e basse che corre libero e veloce per la campagna come un’onda di piena imparabile.
Teneva gli occhi a terra, a fissare la punta delle sue magnifiche scarpette Adidas nuove fiammanti alternarsi sotto il suo sguardo. In pratica, la situazione era questa, Mariano correva verso il pluvón e il pluvón verso di lui, ma entrambi non davano peso alla cosa, finché, forse per un insetto impazzito, forse per un imponente avviso cosmico, Mariano alzò la testa, vide il pluvón e invertì la marcia, cercando di correre più veloce del terrificante squadrone di nubi nere. Ovviamente, era una gara persa in partenza: una delle caratteristiche del pluvón, infatti, è quella di trasformarsi rapidamente in pluverrimus, una delle parole non a caso più temute dai pochi che ancora ne ricordano il significato. Mariano non vedeva nemmeno i confini di Caramante che la pioggia cominciò a cadere, gocce grosse come patate cominciarono a cadergli addosso, mettendo a dura prova la maglietta impermeabile e trasformando le sue adidas e i fuseaux in spugne da piatti. Quando finalmente raggiunse casa, l’acqua gli arrivava alle caviglie. Entrò e, a fatica, riuscì a richiudersi la porta alle spalle. Si spogliò con grande sperpero di energie, appallottolò tutto il suo necessaire per la corsa e lo gettò in mezzo alla stanza, affranto e fradicio. Fu a quel punto che la moglie aprì la porta della cucina liberando gli effluvi di cavolo e maiale che subito invasero la casa e si diresse all’ingresso e, vedendo il marito in quello stato, gli disse: “Vorrai mica andare a correre nudo?”.

“No, mi sa che ho smesso.” disse e andò in bagno a farsi una doccia.

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