Lo so, lo so, sono in ritardo… Buon anno!
RICORDI DI UN BOSCO
Insieme a Giovanni, quella notte, avrebbero dovuto esserci altri tre ragazzi, tutti di circa 30 anni, tutti quasi uomini, tutti figli di famiglie per bene. Il programma era semplice: caricare svariate casse di alcolici nel bagagliaio dell’Audi di Gabriele, ritirare 7 cartoni delle leggendarie pizze familiari di Gennaro Filogamo e dirigersi alla baita di uno dei quattro, Filippo, per celebrare l’anno a venire e salutare il vecchio.
Si tratta di un’amena casetta al confine del bosco, raggiungibile in circa mezz’ora d’auto dalla città, ma proprio per questo già isolata, immersa nella quiete spettrale di una notte d’inverno.
Dovevano essere Giovanni e altri tre si diceva, ma, alla fine, Mario Breda non si presentò. Per fortuna non era né il proprietario dell’Audi né della baita e quindi i tre rimasti decisero di partire lo stesso. Erano stufi delle feste in discoteca, dei resort in montagna e dello champagne, per questo avevano già da tempo organizzato questo capodanno eremitico, alternativo rispetto alle loro abitudini agiate e complesse.
L’assenza di Mario li privava forse di un po’ di ironia, ma, tutto sommato, i tre uomini erano felici di essere insieme, si conoscevano da sempre, dai tempi della scuola, sicuramente da oltre metà delle loro vite, tuttavia brevi per i nostri tempi.
Recuperarono il cibo e le bevande e partirono alla volta della montagna che si ergeva già scura, nonostante l’ora non tarda del pomeriggio che si era fatta. Non rinunciarono a una sosta nell’ultimo bar della valle per farsi un prosecco e fumare. Nessuno di loro aveva la sensazione che qualcosa potesse andar male. Avevano il tempo, le pizze, gli amici. Gabriele, Giovanni e Filippo, tre moschettieri fuori dal tempo che sceglievano di fuggire la folla, la tipicità, il vizio per vivere una notte di capodanno fatta di piccoli e ineguagliabili piaceri. Un buon vino, una pizza leggendaria, buona musica e gli amici di sempre con cui parlare del passato e raccontarsi il presente. Il programma perfetto, insomma.
Salutarono la gentile e prosperosa locandiera, dandosi di gomito quando si chinò per raccogliere il resto dalla cassa, e risalirono in auto alla volta della baita di Filippo che era ormai buio.
Mancavano circa quattro ore alla mezzanotte quando i tre fecero il loro ingresso nella casetta di legno. L’ambiente era freddo, ma caloroso allo stesso tempo, grazie al legno scuro e odoroso che ricopriva ogni cosa. I tre si guardarono e, senza doversi parlare, si divisero.
Giovanni cominciò una spola con l’Audi parcheggiata poche centinaia di metri a valle per recuperare le indispensabili vettovaglie.
Filippo si occupò della stufa e del camino, aggiungendo un calore reale a quello immaginato.
Gabriele accese il forno per scaldare le pizze; rovistando in cucina, trovò piatti, bicchieri e posate e apparecchiò con semplicità e gusto il bel tavolone di quercia al centro della sala. Poi collegò il telefono con la cassa bluetooth che aveva con sé e la musica si appropriò della baita, fondendosi all’odore di legno e fuoco come parole attorno a un fiore.
Canta Bob Dylan, ma non è tanto importante per Filippo e Gabriele che si godono il tempo lento che avevano sognato, pensato e infine realizzato. Passarono almeno due pezzi non brevi prima che Gabriele dicesse: “Ma Giovanni dov’è?”.
Filippo lo guardò come se non avesse capito la domanda. Gabriele si avvicinò alla porta, la aprì, prendendosi in faccia il gelo del bosco, allungò il collo per scrutare il sentiero mal illuminato che portava all’auto.
“Giò.” disse, prima piano, poi più forte, fino ad urlare abbastanza da allertare anche Filippo che lo raggiunse sulla soglia.
“Da quanto non lo vedi?”
“Ma non so, ero preso dal fuoco, dalla musica… ma non può essere tanto.”
“Che ora è?” chiede Filippo.
Gabriele si tocca le tasche a cercare il telefono: “Non lo so, dove ho messo il telefono?” dice.
Filippo alza le spalle, Gabriele rientra. Filippo aspetta un’attimo, poi, infastidito dal freddo, richiude la porta. Gabriele ha trovato il telefono, ha trovato anche un messaggio di Mara, la sua ex, lo rilegge diverse volte, senza sapere cosa rispondere.
Filippo decide di aprire del vino, ne versa tre bicchieri abbondanti, ne porta uno a Gabriele che nemmeno se ne accorge e poi si siede al tavolo, dà un bel sorso, poi prende il cellulare in mano e comincia a fare zapping tra i pezzi delle sue playlist, alla ricerca della canzone perfetta.
Quando, dopo un po’, alza la testa dal cellulare in cerca di qualcuno con cui brindare, la casa è vuota. Gabriele non è più davanti al camino, accovacciato sul divano con il pollice in bocca a pensare risposte che non sa dare. E Giovanni? Dov’era finito Giovanni? Insomma, dov’erano tutti?
Decise di mettere il giaccone e uscire a cercare.
A mezzanotte in punto, l’orologio a cucù sopra al camino esplose il suo canto meccanico nella baita di legno, ormai vuota del tutto, per dodici volte, generando un inquietante mix con Hell’s Bells diffusa dal telefono di Filippo, ancora attaccato alle casse.
A giudicare dalla vivacità del fuoco e dalla percentuale di batteria del cellulare di Filippo, continuerà ad esserci musica, magia e fuoco almeno fino a mattina, anche se nessuno, al di fuori dei custodi del bosco, sarà lì a goderseli, distratto probabilmente da altro più urgente.
Sicuramente, saranno ancora lì quando Mario Breda entrerà in cerca dei suoi amici con due poliziotti alle spalle.