La capitale di Spagna ha deciso: destra. Ma mai come ora è utile non farsi influenzare dalle etichette. Ayuso ha vinto perché ha aperto le piazze, i bar, i ristoranti, ha ascoltato la gente, i lavoratori e i giovani, senza mettere in pericolo nessuno. Ha detto e fatto cose “di sinistra” tutto il tempo, senza la smania di rieducare la popolazione su temi che non la toccano.
Ha sconfitto, anzi stracciato, una setta di moralisti punkettoni, interessati, più che altro a parole, solo alla sorte di migranti e lgbtq+ e invasati sostenitori di norme liberticide e pseudosanitarie che hanno messo il Paese in ginocchio, senza produrre evidenti risultati per contenere la cosiddetta pandemia.
Il risultato è così netto che l’ex idignado Pablo Iglesias si ritira dalla politica, dopo essere andato all-in e aver rinunciato alla vicepresidenza del Paese per condurre quella che, nella sua testa, doveva essere la conquista del paradiso dei fighetti.
Madrid farà scuola se le sinistre europee non la smettono di sbagliare priorità, di fare gli educatori anziche gli amministratori. Nessuno dice che l’immigrazione e la protezione legislativa della diversità non siano temi esistenti, ma lo sono molto nella testa dei dirigenti e molto poco nei piatti e sulle schede dei votanti. Ignorare i bisogni delle persone non solo è molto poco “di sinistra”, ma rischia di essere il leitmotiv di un’ecatombe elettorale di proporzioni madrileñe in tutta Europa.